Se mai dovesse capitarvi di andare in Giappone, diffidate da chiunque vi offra un dolce perché potreste ritrovarvi tra le mani un oggetto assimilabile quasi in tutto e per tutto a un biscotto, un biscotto di certo molto carino, con buona probabilità modellato in forma geometrica o di animale, deliziosamente dorato e morbido al tatto, sufficientemente compatto da promettere di non sbriciolarsi al primo morso, ma allo stesso tempo abbastanza soffice da lasciare immaginare, con una sfumatura quasi erotica, il momento in cui i vostri denti vi affonderanno. Uno scenario meraviglioso.

All’improvviso il sedicente biscotto giace inerme e già scartato tra le vostre dita, nessuno vi sta guardando con troppa attenzione: è il momento perfetto per addentarlo con tutta la voracità di cui siete capaci. È una splendida giornata, il sole grida da dietro gli alberi carichi di fiori, i colori sembrano davvero più colorati, i pianeti si allineano in una formazione tanto infrequente quanto foriera di gioia, fortuna e buoni auspici, e le persone per strada, dentro ai negozi, sedute negli uffici e sospese per aria in aerei che sfrecciano a migliaia di metri sopra il livello del mare si immobilizzano, tutte, come se attratte da un presagio di vitale importanza. Silenziose, aspettano rapite che le vostre mandibole si chiudano e che la magia si compia.

Nel fotogramma successivo state sputacchiando una poltiglia marroncina nel palmo della mano, mentre dentro di voi si combatte un’epica battaglia tra la sensazione di essere stati brutalmente ingannati e la volontà di salvare almeno in apparenza l’idillio cosmico che stavate vivendo fino a pochi attimi prima. L’elemento di disturbo, l’insidioso fattore sorpresa che ha impietosamente disilluso i vostri desideri si chiama an, e altro non è che una specie di marmellata di fagioli rossi. Una sostanza dalla consistenza complessa e dal sapore subdolo, prima discreto e quasi impercettibile, poi all’improvviso così platealmente presente da lasciare di stucco, e infine del tutto disgustoso.

An è anche il titolo di un film della regista giapponese Naomi Kawase che quest’anno ha concorso a Cannes nella sezione Un Certain Regard e che è arrivato a Firenze con due proiezioni in una piccola sala del centro. Chi conosce un po’ il cinema nipponico sa che di solito la trama non è importante. C’è un negozio di dolci, un uomo triste, una ragazza con un canarino e una bellissima vecchina capace di produrre con infinita dedizione una versione squisita della sopraccitata marmellata grazie alle sue mani nodose che nascondono un passato triste.

C’è una grazia indescrivibile nei personaggi, le immagini sono piene di una luce splendida e un po’ si piange perché la vita è crudele, ma anche bella nei suoi dettagli. Poi si esce con la sensazione che ci sia qualcosa fuori posto. Qualcosa di quasi impercettibile all’inizio e poi lentamente sempre più impossibile da ignorare.

Francesca Corpaci