Hai appena finito di spolverarti dal pullover lo zucchero a velo del pandoro che gennaio ti avvolge già nel turbine dei minestroni e delle zuppe al microonde.

Ma ben lontano dalle minestre riscaldate, precisamente in Via Verdi 42, da venerdì 15 gennaio aprirà Koto Ramen, ovvero quello che si annuncia diventare la tappa obbligata per chi rifugge dai cinesi che si spacciano per giapponesi e dai metalli pesanti.

Questo ramen bar ( che non fa sushi ) sboccia in quelli che erano i locali di un forno ed un biciclettaio, mestieri dai quali ne riprende l’essenzialità di legni chiari e mattoni a vivo solo dipinti di bianco, il tutto racchiuso in uno scrigno di pareti vetrate.

Il menu è un viaggio tra piatti che per composizione si avvicinano più a piccoli ikebana, mantenendo l’equilibrio impeccabile di un haiku.

Le Edamame sono proiettate verso orizzonti che superano la mera bollitura, sposandosi con sale nero e curry giapponese. La Nanban, zucca giapponese marinata nel sake ti implora di richiuderti a crisalide nelle sue fibre agrodolci, come una Cenerentola votata all’umami.
Il Dengaku,  melanzane fritte con il katsuobushi, che per quanto suoni come una parola poco gentile, è solo tonnetto affumicato, ti farà credere per un attimo che forse in Sicilia ci sono arrivati persino i giapponesi.

Non alzatevi dal tavolo se non avete provato Frizzante Mio, un sake da dessert  ed aperitivo che gode di facile abbinamento con il Tofu fresco al sesamo cipollotti ed alghe wakame: una sfida per i virtuosi delle bacchette ma estasi di seta per neofiti dell’argomento.
Il nome Mio, trascendendo i significati tricolori, in giapponese va ad indicare “una corrente di acque basse” come a far da riferimento ad una nuova corrente di sake frizzanti e dolci dal basso contenuto alcolico (5%). Non saranno delusi neanche gli amanti dei sake più classici, serviti qui anche nella masu, una tazza simile a una scatola di legno originariamente utilizzata come misura di una porzione di riso.

Approdo ultimo di antipasti è l’argomento principe: il ramen, zuppa che molti di voi avranno conosciuto grazie a Ponyo sulla Scogliera (Hayao Miyazaki 2008) o forse solo tra i cibi liofilizzati al supermercato, è un piatto tipico del Giappone a base di tagliolini di frumento in brodo di carne, pesce o brodo misto, spesso servito con l’aggiunta di salsa di soia o miso ed maiale affettato, alghe nori, cipollotti e a volte mais. Per chi non ha mai visto Tampopo (Jûzô Itami 1985) dietro la preparazione del ramen si nasconde un’arte a confine con la spiritualità, dove la zuppa va accarezzata con le bacchette per esprimerle affetto e le fette di carne di maiale vanno spostate sulla destra e salutate prima di essere mangiate.

Koto Ramen  vi propone la versione shoyu (al grano tostato), miso (fermentato di soia, orzo e fagioli), tantan (di carne piccante), vegetariana o ai frutti di mare, tutte disponibili in due porzioni dalle grandezze diverse.

Il locale non accetta prenotazioni e si propone di accogliere il pubblico in tre turni da 40 persone ognuno. I proprietari Mattias e Matia, che sottolineano la provenienza locale della quasi totalità degli ingredienti nazionali (dal mercato di Sant’Ambrogio with love) hanno incluso nel team lo chef Shoji Minamihara che ha lasciato Milano per amore dei lungarni – come fare a non comprenderlo –  nonché Hiroko Kawamoto, ex pastry chef del Four Season di Firenze, particolare rilevante per una chiusura in dolcezza nei toni di the matcha e sesamo nero.

A fare l’ennesima differenza Doris Maninger, un’illustratrice a cui è stato dato il compito di realizzare stampe, vetrine e menu per meglio traghettare i nostri palati verso il Sol Levante.

 

di Marta Staulo