Ci hanno tolto veramente tutto. Sul “ci” riserviamo l’accusa ad una ipotetica ma esistente entità del calcio, misteriosa e impalpabile quanto il prossimo Presidente del Consiglio. Sul tutto andremo ad analizzare brevemente: non si giocheranno i mondiali per la nazionale italiana, dato di fatto. Giusto? Sul campo sì, ma il calcio non è solo campo, per fortuna.

Perderemo le affollate arene, i simpatici screzi con i tifosi turisti del giugno fiorentino, le fidanzate accampate a 180 metri dal maxischermo che parlano di Fedez anziché soffrire come noi. Perderemo il fascino dei bar con doppia fila alla spina, l’incontro della nazionale con il Papa e Mattarella. Gli uffici non si fermeranno. Un dramma. Ma il “non esserci” non è l’unica questione del 2018: esiste una sigla complementare a questo disagio sociale, e si chiama VAR. Non è un frastagliato movimento della politica italiana, non uno strumento del demonio travagliano, ma è la cosiddetta moviola in campo, che sarà protagonista come lo è già degli incontri di cartello in serie A. Nella mistica liturgia dei 90 minuti si sono susseguiti negli anni gli aumenti dei direttori d’orchestra: gli arbitri. Ma mai nessuna macchina aveva interferito con la poetica, mai nessun controllo del controllore, perché il calcio non è una rampa di lancio di uno Shuttle. Purtroppo adesso, con un gesto che ricorda una performance della Abramovich, l’arbitro può consultare una tv.

Ci hanno quindi veramente tolto tutto? No. Esiste uno spirito che permane, simile a quello che muove migliaia di persone nel caldo di un concerto estivo per un’esibizione spesso già vista. L’arbitro, nonostante schermi e controlli avrà sempre la moglie dai facili costumi. I mondiali, anche senza l’Italia, ce li vedremo. Come vedremo, vediamo, il campionato di A. Anzi, avremo scremato gli occasionali, quelli che parlano di calcio ogni 4 anni perché a pranzo non sanno come entrare nelle discussioni. Il 2018 è l’anno zero. Noi guardiamo il bicchiere mezzo pieno, che anche se stavolta è quasi vuoto, rimane nostro.

 

 

di Riccardo Morandi