Marzo è il mese della rinascita, l’inverno lascia posto al primo sole caldo e l’aria profuma di mimosa. Siccome invece piove, quale migliore riparo se non un museo?

Lo scorso 8 marzo si è inaugurata presso Palazzo Pitti la mostra “Maria Lai. Il filo e l’infinito”. L’occasione intende celebrare e promuovere la figura femminile inserita nel mondo dell’arte, come previsto dalle iniziative annuali promosse dalle Gallerie degli Uffizi già a partire dal 2017, con la mostra “In memoria di Davide Astori. Il talento di Elisabetta Sirani”.

L’aver scelto un’artista della portata di Maria Lai (Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013), dimostra la volontà di raccontare, attraverso le sue opere, anche la storia della giovane donna che all’età di soli venti anni – nel 1939 – decise di lasciare la Sardegna per proseguire i suoi studi prima a Roma, poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove al tempo insegnava Arturo Martini.

Impossibile comprendere l’opera di Lai a prescindere dalla performance collettiva “Legarsi alla montagna”, che ebbe luogo a Ulassai nel 1981: l’artista, assieme ai suoi compaesani, legarono le loro abitazioni le une alle altre e alla montagna attraverso strisce di tela lunghe in tutto ventisei chilometri.

Tale azione collettiva traeva ispirazione da un’antica leggenda popolare che tutti a Ulassai conoscevano: la storia di una bambina che, durante una terribile tempesta, abbandonò la grotta in cui si era rifugiata per seguire un nastro che volava, riuscendo così a salvarsi da una frana che travolse l’intero paese. L’insegnamento che sia la leggenda sia Maria Lai ci vogliono dare è che l’arte e la bellezza ci salvano la vita.

 

Ed ecco che quel nastro che tutto unisce, nella mostra diventa filo; filo che “lega e collega” e che unisce l’antica tradizione tessile sarda alla più attuale ricerca espressiva. A partire dai telai, continuando con le tele cucite che diventano poi scritture e, successivamente, libri. Così facendo, Maria Lai interviene sugli oggetti della quotidianità, trasformando l’utile e il decorativo in opere poetiche, capaci di insegnare a pensare e a capire.

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