Sono una fuori sede semplice: vivo a Firenze, mi manca la mia terra ma le feste sono un dilemma. E ora sembrerebbe giunto il momento di chiamare a casa per ufficializzare il tutto: “Non scenderò per Pasqua”.

Tragiche le reazioni, brevemente riassumibili in poche categorie. I padri ti sbolognano con un “Eh, va beh”. I nonni corrono dal notaio per diseredarti. Fratelli e sorelle: non pervenuti. Le madri giocano sporco. Si buttano sul sentimentale e sui sensi di colpa.

Oltre le solite immaginette di buongiornissimi e caffè con glitter, da giorni su WhatsApp circolano tue foto dai 3 ai 9 anni abbracciata ad enormi uova di cioccolato o intenta a preparare scherzi in vista del primo aprile. Le mie foto standard prevedono coda di cavallo, mollettine a farfalla nei capelli o imbarazzanti acetati (rossi) in pieno stile anni ’90.

Se allora l’ultima settimana di marzo era dedicata alla preparazione compulsiva di marachelle da fare il primo del mese successivo, nel 2018 il primo aprile noi fuori sede e fuori corso ci sveglieremo con la speranza che l’usurato e semi-vuoto libretto universitario sia solo un simpatico scherzone.

Ma la vera protagonista di aprile è sempre stata la primavera. A Firenze funziona così. Una mattina arriva prepotente nelle case: sfonda la porta e si piazza lì, sul divano sgangherato e lordo, sgraffignato da chissà quale cassonetto. E ti fissa, vuole la tua attenzione: ha delle offerte da farti che non potrai rifiutare. Porta con sé i primi pomeriggi di sole, i fiorellini nei prati di Boboli, gli amori delle matricole, i venticelli caldi, i pollini dalle campagne e l’allergia. Allergia, non allegria.

La primavera è l’unica vera stagione vivibile a Firenze. Non fa terribilmente caldo, non fa terribilmente freddo, non c’è umidità, non c’è nebbia. Non piove così tanto da bloccare la circolazione stradale e costringerti ore e ore sul 14 direzione Careggi. Un vero peccato che si dilegui nel giro di un mese.

Torniamo ai pomeriggi soleggiati e caldi. Tipico aprile del primo anno di università: tutto perfetto, tutti entusiasti, tutti grandi amici. Alle lezioni c’è un sacco di gente, prendi appunti, sbobini, compri libri ma soprattutto non hai la preoccupazione -l’ansia- di preparare esami per la sessione straordinaria di aprile. Sei in corso.

Nell’idillio dei tuoi 19 anni, all’università di Firenze stona un’unica cosa. Tra i nuovi arrivati nessuno ha ancora capito perché, a qualunque ora del pomeriggio, si incrocino sempre i soliti quattro tizi sui trent’anni a bere caffè delle macchinette, fumare cicchini, ridere e chiacchierare amabilmente. Che tu sia fumatore o meno, la pomeridiana pausa di 4 ore all’università ti differenzia dagli altri poveri studiosi studenti e dalle matricole.

Lo studente fuori corso, con tenerezza e con la speranza di riuscire a laurearsi in uno di questi giorni a venire, si gode il mese più bello, aprile. E forse anche gli ultimi anni più belli, prima di diventare adulto.