Risale a pochi giorni fa l’asta da Christies del dipinto di John William Waterhouse “Isabella e il vaso di basilico”, olio su tela realizzato nel 1907.  La tela rappresenta il poema di John Keats che immagina ambientata a Firenze la quinta novella della quarta giornata del Decamerone.

La storia è quella di Lisabetta da Messina che seppellisce in un vaso la testa del suo amato, assassinato dai fratelli che contrastavano il loro amore. Dalle lacrime versate su quel vaso nascerà un “basilico magnifico e profumatissimo”. La novella è diffusa in più versioni, tra cui quella che dà il nome in Campania alla pianta stessa – vasinicola – tradotto “vaso di Nicola”, perché a costui apparteneva, in una delle versioni tramandate, la testa mozzata nel vaso.

Ne ha fatta di strada l’erba dei re (dal greco basilikos) per arrivare a troneggiare come ingrediente principale del pesto – alla genovese – nelle dispense del giovane pezzente.

Se nel 1984 Nanni Moretti in “Bianca” celebrava la Nutella come l’antro uterino dove il trentenne aveva bisogno di rifugiarsi dalla società adulta che incombeva con i suoi doveri; il pesto sembra incarnare per la generazione #nofuture lo status di “vorrei esser grande ma non posso”, e allora mangio qualcosa di verde perché sono al verde, perché tutto ciò che è verde è verdura, la verdura fa bene e la mangiano i grandi. Ma se vuoi provare ad esser grande davvero, metti su Calcutta, armati di minipimer e fattelo almeno in casa!

 

 

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