Ho giocato a tennis per moltissimi anni, credo cominciai in prima elementare, tuttora lo faccio e ne parlo poco, se mi chiedono “sei bravo?” io faccio spallucce, rispondo cose tipo: “dai, diciamo che la butto dall’altra parte”.

Vengo da un’educazione familiare catto-borghese parecchio hardcore e, nonostante siano anni che ci butto la candeggina sopra, certi aloni restano, e definirmi uno “che ci sapeva fare assai”, mi fa tornare in mente il Ragionier Fantozzi azzurro di sci, ibernato sulla macchina scoperta di Calboni, che nessuno lo sente, e la vita lo dileggia.

Matilde oggi aveva una partita importante, per le qualificazioni ad un torneo regionale. I suoi genitori erano indaffarati col lavoro e mi hanno chiesto di accompagnarla: in motorino si lamentava dei brufoli, dell’allergia, dei campi in sintetico, della compagna di classe che fa la smorfiosa col ragazzino che le piace da sei mesi e a cui, Matilde, fatica a dire “ciao”.

Si reggeva ai miei fianchi: questo mi fa il solletico e mi irrita un poco ma non le ho detto nulla perché lei era un torrente di insicurezze a picco, giù per la discesa di Poggio Imperiale, cristallina e rabbiosa come acqua di montagna, e tutti quei pollini che ci cadevano addosso, lei che parlava, starnutiva in continuazione e continuava a chiedere: “Smette presto la primavera, giusto?”.

Alla partita sono stato in piedi, all’angolo più in ombra del campo in disparte. Ho digrignato i denti quando ha perso quell’occasione d’oro, bisbigliavo spesso fra me: “sali a rete ora Mati, sali ora e chiudi di grinta, cazzo”. Non mi sono piaciuti i consigli del suo allenatore, né la boria malcelata della giovane avversaria, non mi è piaciuta nemmeno lei, in qualche scambio, ma le ho perdonato tutto. Perché ha vinto il match. Perché ha chiuso con un rovescio tagliato, un po’ alla Graf, che ci avrei pianto. E perché a fine partita aveva gli occhi gonfi e rossi come melograni. Le ho stretto la mano, passandole il collirio. In silenzio ci siamo scambiati un sorriso orgoglioso: smette presto la primavera.