di Michelle Davis

A Firenze c’è fermento, è innegabile. L’arte sta tornando alla ribalta, nella sua forma più autentica e aggiornata. Botteghe riaprono, le mostre fioccano, nuove generazioni di creativi si affacciano nelle gallerie e negli spazi pubblici con orgoglio e voglia di infondere nuova linfa nelle stanche vene rinascimentali della nostra città. La neonata associazione culturale Cartavetra non è da meno. Fondata dalle illustratrici Brunella Baldi e Luna Colombini al 64R della dinamica Via Maggio, questa galleria-laboratorio vuole essere uno spazio trasversale, tra ‘illustrazione, arti visive e design. Con un particolare focus alla formazione, hanno in piano un ricco programma di workshop che inaugura il 9 e il 10 Maggio con un corso su Painter tenuto dall’illustratore milanese Conc, al secolo Francesco Conchetto, collaboratore storico di testate importanti quali il Corriere della Sera e Le Monde. Abbiamo avuto l’estremo piacere di scambiare due chiacchiere con lui, umile osservatore e maestro di sintesi.

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In una descrizione che hai scritto sul tuo lavoro riassumi tutto con una frase che ho trovato estremamente interessante da più punti di vista: “Io illustro”. Ecco, parlaci un pochino di cosa vuol dire per te l’illustrazione..

In questo caso io faccio sempre una distinzione, visto come è andata la mia carriera. Io faccio illustrazioni concettuali, mi servo di simboli. La mia illustrazione non è mai far vedere quello che c’è scritto ma commentarlo, aggiungere un altro punto di vista un po’ a latere, un po’ sbieco che penso possa far capire di più il testo. Francamente non mi interessa far vedere quello che è già scritto ma farlo capire. Con una sintesi felice io posso aggiungere delle cose – mica sempre riesce ma ci si prova! – e naturalmente questo genere di illustrazione può essere considerata un po’ arida rispetto a quella dei libri illustrati, ma il suo scopo è scuotere, suggerire riflessioni e stimoli. Non dev’essere pacifica o banale, deve mettere in relazione delle idee.

Recentemente hai lavorato su un’illustrazione per un articolo incentrato sulla strage di Charlie Hebdo. Come hai vissuto questo compito così pesante?

In quel caso dovevo lavorare su un pezzo piuttosto bello, di Pierluigi Battista. Penso fosse stato scritto molto di getto, il fatto era successo quella mattina e l’ho ricevuto nel pomeriggio. Diceva che non avevamo il diritto di prendercela con nessuno se non con noi stessi. Noi occidentali abbiamo lasciato soli quelli che avevano bisogno, i traduttori e gli autori di certi libri, l’omicidio di Theo Van Gogh in Olanda…episodi in cui l’Europa non ha preso parte e ha lasciato che cadessero nel dimenticatoio.

Per quello che mi riguarda, questo è stato un netto ritorno indietro ai secoli bui…al momento non avevo letto chi erano i morti, e probabilmente sarebbe stato peggio perché un paio li conoscevo. Attraverso la mia immagine volevo far capire che era una bella scossa sul quadrante della storia, della democrazia e della libertà: il proiettile entra nel campo nero, un salto nel buio che sospetto si ripeterà ancora e riecheggerà a lungo. Ho vissuto quest’atmosfera andando a Parigi, sebbene poi parlando con qualche giornalista ho appreso che i francesi sono più abituati agli attacchi contro la libertà, basti pensare al loro passato…la guerra in Algeria, ad esempio.

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A proposito di libertà di espressione…Tu lavori da molti anni in questo campo, hai prodotto illustrazioni per testate importanti quali il Corriere della Sera e Le Monde. Dai tuoi esordi ad adesso, come hai percepito il passare della storia? Ti sembra che ci siano stati cambiamenti importanti in Italia?

In realtà non faccio vignette, per cui il mio un pensiero non è legato a eventi o personaggi specifici, anzi, è proprio il contrario, la mia è un illustrazione molto fredda che in pochi tratti può parlare di cose terribili. Parlava di questo fatto anche l’illustratore israeliano Noma Bar: possiamo trattare argomenti orribili quali droga, stragi, violenza ma proprio perché utilizziamo un tratto semplicissimo, estremamente sintetico, che permette il distacco e una totale obiettività. Disciolto dal fattore del tempo, non vedo miglioramenti o peggioramenti, so benissimo che devo fare delle sintesi che non devono essere pesanti MAI. Ci sono delle regole non scritte a cui devo obbedire: non posso rappresentare morti sgozzati, si gioca coi simboli, con i colori, con il verso di lettura, si esprimono concetti universali. Qualcosa che può dire qualcosa alle coscienze, magari con delle metafore, a patto che siano universalmente accettate e riconoscibili. Alla fine, l’analisi storica o politica l’ha già fatta chi ha scritto il pezzo, io mi metto al servizio del testo. Quasi mai disegno di mia volontà.

Tu di fatto sei definito un “digital worker” ed è un tratto distintivo dei tuoi lavori. Parlaci del tuo processo creativo…e di come sei approdato nel mondo del digitale.

Ho sempre disegnato per i giornali e ho un’età che comunque mi ha proiettato in diversi stadi storici dell’illustrazione editoriale. C’era una volta che facevo tutto a matita e poi a china e poi incollavo i testi per l’impaginazione. Nel frattempo ho imparato ad usare programmi vettoriali, creando anche pagine web, e, per fortuna, è diventato il mio medium! Dico per fortuna perché il disegno digitale è estremamente più veloce e flessibile. Quando mi chiamano per un disegno e la scadenza è dopo tre ore, fino all’ultimo puoi cambiare il formato, i colori o la disposizione degli elementi. Clicchi un bottone e tutto cambia. Se avessi avuto davanti una tavola avrei dovuto ricominciare da capo…il mio rapporto con il digitale inizia fin dalla prima stesura dell’illustrazione, con un livello a matita da cui poi parte il tutto a seconda delle tecniche e dell’estetica che voglio adottare.

Hai già qualche piano per il futuro?

A dire il vero, ho anche in programma di lavorare come autore di libri per ragazzi. Ci sono due o tre cose che mi piacerebbe portare a termine, due o tre libri. Bisogna avere una bella idea ogni volta, ne basta una per creare un mondo interessante. Benché il mio lavoro rappresenti un approccio diverso rispetto alla classica illustrazione per editoria, la voglia di raccontare è la molla più forte.  Quando penso ai libri per ragazzi mi concepisco anche come autore, prima del testo prima e poi dell’illustrazione, per non parlare di quelle cose veramente sorprendenti che possono succedere tra testo e immagine. L’illustratore può veramente tirare fuori quello che vuole dal testo, aggiungere anche delle cose non dette o silenziosamente smentirlo o esagerarlo.

Trovo affascinante l’osservare quello che salta fuori da questo rapporto ricchissimo e estremamente interessante. La mia prima raccolta di storie, “È finita la scuola” (Prìncipi & Principi editore), è un libro nato da alcuni input del passato. Volevo fare un libro che fosse puro gioco ma nella realtà è andato assumendo tanti significati interessanti perché mi sono accorto che, pur giocando, parla di bullismo, un tema di cui tra l’altro continuo a sentir parlare ed è sempre più di attualità. È un fenomeno che va conosciuto a fondo, perché non è poi sempre chiaro o appariscente. Il bullismo lo smonti parlandone, a maggior ragione se lo tratti in maniera giocosa. Attraverso un piccolo studio abbiamo scoperto che, fondamentalmente, il bullo non ha empatia. Non capisce il dolore, né il suo né quello di altri, e diventa una specie di alieno per cui la violenza acquisisce un carattere lecito e naturale. Manca una sensibilizzazione a riguardo, dobbiamo parlarne di più per trovare una soluzione.

Parlaci un pochino del workshop che terrai presso Cartavetra questo weekend…

Negli anni, ho maturato un po’ di esperienza sul metodo di lavoro che richiede questo tipo di illustrazione, anche se in questo caso il corso è basato sullo studio del software Painter, quindi l’illustrazione non è veramente il tema principale. Quello che mi interessa è approfondire insieme ai partecipanti le possibili modalità di realizzazione del loro bagaglio di idee, della loro personale progettazione. I passaggi sono una cosa assolutamente individuale e vanno rispettati, dallo schizzo preliminare ai disegni. Ci concentreremo anche sulle regole compositive e su come cambiare l’immagine in corso d’opera, oltre ai fondamentali comandi dei programmi usati. L’elemento di base è in realtà un’educazione all’osservazione, noi illustratori dobbiamo guardare moltissimo. Per fortuna siamo in Italia e abbiamo di tutto da guardare…dalla storia dell’arte agli stimoli offerti dal mondo dell’illustrazione. Il nostro è un universo densissimo di simboli e di cultura visiva, per cui la raccomandazione di tenere gli occhi ben aperti è sempre valida. Questo è un consiglio che do sempre quando incontro aspiranti illustratori e disegnatori, ma credo che sia comunque un quesito già attivo all’interno del loro excursus. Nel nostro campo è un atto quasi automatico, fondante.

Per chi fosse interessato a partecipare al workshop, ai lettori di Lungarno è riservato uno sconto speciale!
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