Il documentario di Joaquim Castro, Eduardo Nazarian e Mariana Aydar, “Dominguinhos” (2014), non è il semplice racconto della vita di un musicista, è anche la storia di un paese, anzi più precisamente di una regione brasiliana, il “Nordeste”, territorio semi-arido, ma anche patria della musica popolare brasiliana.

È Jose Domingos de Morais, Dominguinhos (Garanhuns 1941São Paolo 2013), la voce narrante che accompagna i preziosi filmati della sua vita. Attraverso il suono della sua fisarmonica lo spettatore ha la possibilità di entrare nella realtà del baião, una musica rurale, di origine indigena, ma piena di contaminazioni venute da lontano. La faccia sorridente di Dominguinhos domina il grande schermo e con autoironia racconta, come se fossero due strade parallele, la sua vita da musicista e la sua vita intima.

“Non ho bisogno di provare” ripete spesso un giovanissimo Jose. La musica sembra uscire spontaneamente dal corpo di Dominguinhos. Sul palco di fronte al suo maestro Luiz Gonzaga, per antonomasia “Re del Baião”, Dominguinhos balla la danza tradizionale Xaxado, battendo i sandali per terra e parla col maestro come se il pubblico di fronte a loro non fosse presente. La loro genuinità e gli stessi testi delle canzoni trasformano l’intero concerto in uno spettacolo teatrale. Il pubblico non può che immedesimarsi, di fronte ad un Luiz Gonzaga che, come un padre, spinge Dominguinhos a ballare o ad una Nana Caymmi, altra grande interprete della musica brasiliana, che non riesce a trattenere le lacrime mentre canta “Contrato de Separacão”.

I testi delle canzoni parlano d’amore e raccontano la povertà di quelle terre, gli stati del Sertão ed in particolare il Pernambuco, da cui Dominguinhos proveniva. Attraverso le più svariate collaborazioni, Dominguinhos, è riuscito a ridare vigore alla sua musica “nordestina” e a portarla fuori dai confini regionali, fino a Sao Paolo e Rio de Janeiro.

La familiarità con cui Dominguinhos parla di fronte alla cinepresa e la maniera con la quale espone i propri ricordi fanno sì che dopo novanta minuti di immagini, magistralmente unite insieme dai registi, anche chi tra il pubblico in sala non aveva mai sentito parlare prima del “sanfoneiro baiãno” (“fisarmonicista baiano”), una volta uscito, avrà sicuramente l’impressione di conoscerlo da sempre.