Inutile tentare di nascondere la testa sotto la sabbia, il messaggio arriva forte e chiaro: vogliamo continuare a non guardare? Vogliamo continuare a far finta di niente?

Rosi, vincitore del Leone d’oro a Venezia 2013 per “Sacro GRA”, ha presentato “Fuocoammare” al Berlinale e per adesso è in testa alle classifiche nei pronostici.

Sicuramente il tema centrale non può lasciarci indifferenti, è uno dei problemi attuali più scottanti: l’immigrazione in massa verso l’Europa dai paesi Africani, molto spesso ci dimentichiamo che queste persone fuggono dalle guerre, bombardamenti, prigionia, stupri e questo docu-drama ci fa tornare alla realtà, per farci capire quanto sia tragica la loro vita e per spingerci ad agire.

 

Il protagonista del film è Samuele, un bambino lampedusano che vive la sua quotidianità spensierata, le navi militari di fronte all’isola non sono altro che un gioco, vive affrontando i piccoli problemi che la vita gli pone davanti ignorando completamente l’altra faccia della medaglia dell’isola: l’impegno quotidiano militare e morale della Marina nel salvataggio di centinaia di profughi. Queste due facce dell’isola appaiono nel film come due verità distinte che vagamente si incontrano, quindi sembrano proprio un documentario e un film uniti a fatica. Certo, il dottore che racconta qualche episodio che ha vissuto crea un raccordo, insieme al paesaggio meraviglioso che fa da sfondo ad entrambe le realtà.

 

Quindi “il Samuele” che è dentro ognuno di noi, vuole continuare la sua vita, o vuole guardare al di là della tenda che ci separa dal resto del mondo e fare qualcosa? A mio parere è questa la grande domanda che ci pone Rosi, anche se immedesimarmi in Samuele è stato alquanto faticoso, ma l’iniziativa del regista è lodevole e non possiamo non andare al cinema per rispondere alla sua domanda.

 

di Elisa Artini