Grande attesa a Firenze. Dal 19 marzo al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi apre le sue porte alla grande arte dei Guggenheim; oltre cento capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento.

Nomi da capogiro. Basta leggerli, per ammassarsi all’ingresso della mostra. A Palazzo Strozzi è il turno dei più grandi maestri dell’arte moderna. Non solo Kandinsky e Pollock, ma anche Marcel Duchamp, Max Ernst, Man Ray, Alberto Burri, Emilio Vedova, Mark Rothko, Roy Lichtenstein e Lucio Fontana.

L’arte moderna a volte può sembrare strana, molti “non la capiscono”. Spesso ironica, sembra divertirsi a lasciare in sospensione l’osservatore, che a volte affronta la contemplazione con un senso di smarrimento. D’altra parte gli occhi dell’arte moderna sono soggettivi e quelli del pubblico sono affamati non solo di emozione, ma anche di spiegazioni, di dialogo. Se è una chiave d’interpretazione quello che state cercando, sappiate che gli occhi con cui vi raccontiamo questa mostra sono tra i più esperti in circolazione: quelli di Luca Massimo Barbero, il curatore, che questo percorso ama definirlo un viaggio. Ma non aspettatevi di essere presi per mano; il viaggio lo compirete in perfetta libertà, e sarà in questa dimensione che potrete comprendere il senso del vostro vagare.

Il percorso espositivo intende ricostruire rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim. La mostra nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi e la Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York e permette un eccezionale confronto tra opere fondamentali dell’arte moderna. “Ho costruito la mostra appositamente per lo spazio di Palazzo Strozzi – racconta il curatore – sala per sala, si compie un racconto, non solo cronologico, delle grandi avanguardie del Ventesimo secolo. La mostra è anche una celebrazione del ritorno a Firenze della collezione Guggenheim dal 1949, anno in cui Firenze invitò Peggy Guggenheim, appena giunta in Italia, a presentare la sua collezione alla Strozzina. Firenze si conferma così un osservatorio attento di quelle che un tempo erano le avanguardie e che adesso vengono celebrate come arte moderna. Coloro che all’epoca furono presentati come artisti contemporanei, oggi sono i grandi maestri del Ventesimo secolo”.

La prima sala offre subito un forte impatto con le opere originarie delle due collezioni (sia Solomon che Peggy iniziano a collezionare dal 1937). Da un lato quella di Solomon, più legato alle avanguardie dell’astrazione dei primi anni del secolo. Di fronte, in una sorta di confronto inedito, quella di Peggy, anche lei legata alla pittura astratta, ma tipizzata dalle altre avanguardie, dalla metafisica al surrealismo di De Chirico, Ernst, Klee o Giacometti. Al centro della sala, l’ospite d’onore, il grande Curva dominante di Kandinskij: due metri di olio su tela, considerato il capolavoro del momento parigino del 1936. Un’opera sintomatica del dialogo di questa mostra, perché è un dipinto che Peggy compra e che poi rivende negli anni newyorkesi, e che in seguito entra a far parte della collezione dello zio.

Il dialogo tra le collezioni di Venezia e quelle di New York prosegue nella seconda stanza, mentre la terza spalanca le porte al grande Pollock. “Un’occasione unica di ammirare un’antologia dell’artista, dalle sue opere del 1942, influenzate da Picasso – il bellissimo “La donna luna” ne è un esempio – fino a quelle del 1951”. Il racconto straordinario dell’espressionismo astratto e dell’informale in Europa, le due correnti del Dopoguerra, si sussegue nelle sale a ritmo incessante fino a giungere nella Sala 8, dove incontriamo i capolavori di Mark Rothko. “Peggy è una delle prime a esporre le sue opere e qui ritroviamo, tra gli altri, “Marrone e arancio”, dal museo di New York”. Nella Sala 9, infine, vi aspetta l’arte degli anni Sessanta, il gran finale che chiude il percorso con uno straordinario Lichtenstein, aprendo la strada al pop e all’arte contemporanea.

Il viaggio finisce. Lascerete la mostra riflettendo su quanto il Secondo dopoguerra di cui noi siamo figli si sia radicato in questo dialogo serrato tra Europa e America, di cui le collezioni Guggenheim, traghettate da una sponda all’altra dell’Oceano, sono la rappresentazione. Uno spaccato sintetico e ricco che fa pensare alla bellezza della cultura nel suo evolversi e farsi influenzare. Un dialogo tra continenti, tra culture, tra collezioni di zio e nipote, che imprime vitalità. Le opere sono ironiche, ricche, aperte. In esse si entra pienamente, conoscendole una per una e sperimentando le proprie interpretazioni. Perché il dialogo più grande, alla fine, è quello che ognuno di noi avrà con ognuna di loro.