Squeeze me baby, till the juice runs down my leg. 

The Lemon Song – Led Zeppelin

TabuléALLorientaleSi chiude una porta, si apre una birra e quando la vita ti dà limoni, tu facci un tabulé.

Si chiama così un corto diretto da Richard Garcia. Due uomini su un tetto. L’uno chiede all’altro i suoi pin del cellulare e della carta di credito, oggigiorno inconfutabili prove di fedeltà. L’altro si rifiuta e gli risponde con numeri che dimostrano una devozione senza tempo, che trascende fidanzamenti ammuffiti: il numero di passi che separa le loro case, il numero di giorni passati insieme. I due comunque finiscono per litigare ma il condividere una porzione di tabulé riesce a riportarli nella loro dimensione di quotidiana condivisione affettiva, in cui non servono numeri a dimostrare che nulla può separarli.

Nel mondo mediorientale dove nasce, tra Palestina e Libano, ha varianti che prevedono un uso massivo di prezzemolo e l’utilizzo del buglur (chicchi di grano spezzettati), ma sono interessanti anche i riadattamenti europei come quello che racconto, dove il cous cous ne rende la preparazione estremamente veloce e pratica.

Il tabulé è nel mio immaginario comunione di sapori e di sensi, come lo è l’estate che esaspera sentori che non ricordate più, che cercate sul cuscino per ritrovarli in un piatto. Un po’ dentifricio, un po’ dopobarba, un po’ Chilly Gel, senza il bisogno di bere litri di succo di ananas. Mi avete capito. Il tabulé ha questo potere di ridarvi l’acido e il dolce, il mentolato ed il salato. Saliva, sudore e lacrime. L’evoluzione liquida di un tormento cardiaco. Che l’acqua salata, come il mare, diceva Karen Blixen, è la cura per ogni cosa. Ed è l’acqua salata l’elemento alchemico di questa ricetta che ha per lista della spesa un dipinto dell’Arcimboldo.

Pomodori, cetrioli, cipolle di Tropea, peperoni, limoni, uvetta e menta. Questo è un piatto per sistemi gastrici under-40, dallo stomaco forte e dal cuore ancora accomodante, incolume a peperoni crudi e a condivisioni di varia specie. Si dice ci voglia un po’ ti tempo perché gli ingredienti si conoscano e si penetrino a vicenda in quella che si può definire un’unione di spirito ed intenti, che ha qualcosa di romantico ma soprattutto di scientifico.

L’unico argomento di fisica che mi abbia mai appassionato, io che di fisica non ci ho mai capito nulla, era l’entropia, una sorta dittatura comunista tra cui rientra il fenomeno dell’osmosi. Se tu sei sciapo ed io sono salata, per un principio bellissimo e per il solo motivo dell’avermi accanto, tu diventerai salato quanto me perché io ti prosciugherò dei tuoi liquidi fino al punto tale di renderti salato preciso uguale a me. Così succede quando al mare le dita ci diventano grinzose, il mare vuole diventare meno salato e ci ruba l’acqua. Dovrebbe valere così anche per eccesso di amore, ma tant’è lì vale la sola legge dei buchi neri. Per osmosi, e un pizzico di sale, ogni elemento tira fuori il meglio di sè dall’altro e allo stesso tempo esalta se stesso in un mescolarsi reciproco di succhi. Tutto ciò avviene tagliando tutte le verdure in piccolissimi pezzi. Concentratevi su quel tipo a cui mollereste il premio Zsa Zsa Gábor per la maturità sentimentale (Manhattan, Woody Allen 1979) se solo lo beccaste in giro in centro. Ecco. Quando sentite che vi state concentrando troppo, mollate le verdure prima di ridurle in pesto e sfogatevi sulla menta. Poi strizzate per bene i limoni come fosse la sua faccia, non so se di baci o di schiaffi, ma rende uguale. Avrete un piatto profumato, fragrante e colorato. Peccato solo per la cipolla che, come capita con qualcuno, ogni tanto vi ritornerà in gola.

Ingredienti 1 bicchiere di cous cous + 1 bicchiere di acqua, 1 peperone rosso, 2 pomodori cuore di bue, 1 cetriolo, 1 cipolla di tropea, 100 g uvetta, 2 limoni, 1 mazzetto di menta, sale e olio q.b.

 

disegni e parole di Marta Staulo