Come potremmo riassumere la carriera di Johnny Depp? Direi in tre fasi. Il problema principale del caro Johnny è che non è mai riuscito a staccarsi dalle etichette, tolta una gliene hanno sempre affibiata un’altra: prima la parte del bravo ragazzo di quartiere (21 Jump Street), poi arrivano Tim Burton e la vita squilibrata che gli conferiscono lo status di poeta Bello&Maledetto, fino ad arrivare al ruolo che lo ha imposto come una delle star più importanti degli ultimi 15 anni: Jack Sparrow.

Burton, diciamolo, gli ha fatto da ottimo sparring partner. Preziose poi sono state le collaborazioni con Gilliam, Polanski e Jarmusch. In mezzo c’è pure una prova dietro la macchina da presa, “Il Coraggioso”, film semi dimenticato in cui oltre a se stesso aveva diretto anche quel macigno (in tutti i sensi) di Marlon Brando.

Dopo tutto questo arriva Jack, gli fa valere una nomination all’Oscar che un po’ ha dato del filo da torcere al Sean Penn di Mystic River e gli condiziona del tutto la carriera. Successo sì, ma anche maledizione (non della prima luna), perché da allora Johnny non si è più tolto i tic e le movenze del suo personaggio, ricercando trasformazioni su trasformazioni dove però riecheggia sempre quel manierismo che ha fatto la fortuna della Disney. Ci ha provato Johnny a fare qualche film diverso ma gli è sempre andata male: The Rum Diary, The Tourist, Nemico Pubblico, tutti dei grandi flop al botteghino e nessuna menzione degna di nota, seguiti a ruota da Mortdecai e dall’insipido Black Mass.

Non restano quindi che Tim Burton e, indovina un po’, il roteare gli occhi e l’ondeggiamento del caro vecchio Jack, al quinto film della saga, una barca questa che non intende affondare (se riesce a navigare bene quella di Fast & Furious…), in un oceano quello del botteghino dove ormai veleggiano solo i sequel e i Cinecomics.

Il pirata dal sorriso sardonico resta un’arma a doppio taglio, una prigione, certo più spaziosa di quelle che subirono Bela Lugosi/Dracula ed Anthony Perkins/Norman Bates, ma pur sempre una prigione senza apparente via d’uscita. Sembra che, ogni volta che si ritrova davanti uno script, Johnny non cerchi di interpretare un personaggio, di capirlo o di conoscerlo, ma piuttosto di usare il personaggio per interpretare se stesso. E’ come se gli mancasse quel piccolo salto che colleghi affini come Brad Pitt e Tom Cruise in qualche maniera hanno già compiuto, il primo con The Tree of Life e L’esercito delle 12 Scimmie per esempio, il secondo con Nato il 4 Luglio e Magnolia giusto per citarne un paio.

Soluzioni? Si parla già di un sesto episodio…

 

di Mehdi Ben Temime