Musica, scrittura, cinema. Tre parole che descrivono Simone Lenzi: un livornese che fa parte di quella cerchia magica di registi, cantautori e artisti che la costa labronica ci ha regalato. La sua band, i Virginiana Miller, sono uno dei nomi storici – forse il primo nome storico – all’interno della scena del pop raffinato indipendente. Dopo un silenzio di cinque anni tornano con un nuovo lavoro, dal titolo “The Unreal McCoy”, sorprendentemente in inglese.

Incontriamo Simone Lenzi con la curiosità di capire cosa è bollito in pentola.

 “The Unreal McCoy” sorprende perché non sembra un vostro disco. In inglese, che parla degli Stati Uniti. Racconta come siete arrivati a questa svolta.

“Ci siamo voluti divertire, tirare fuori un modo di scrivere diverso, senza contare che avevamo un po’ esaurito la vena espressiva in italiano. È un disco che parla di un immaginario che riguarda gli U.S.A, un’operazione che richiama quello che fece Salgari, che scrisse della Malesia non muovendosi da Torino”.

 

Come è stato scrivere e arrangiare una cosa che era totalmente fuori dai vostri schemi?

“In realtà grazie al fatto di scrivere in inglese abbiamo scoperto un modo di esprimerci totalmente differente. Ci sono influssi country, sonorità ricercate e qualcosa di ispirato a Morricone: questo è stato possibile perché abbiamo pensato i pezzi in un’altra lingua, se vuoi con più libertà. La stessa che comunque non ci manca visto che abbiamo tutti oramai una vita ben strutturata e suoniamo solo per divertirci”.

Virginiana Miller


Ci sono tante immagini su questo disco, ogni pezzo è una foto. Ho subito pensato a De Gregori.

“Guarda, sicuramente Buffalo Bill è una canzone di riferimento per questo album. Anche la sua era un’America immaginata, se vuoi posticcia, ma penso che da un punto di vista espressivo il fake possa paradossalmente raccontare meglio dell’originale. Anche il titolo del disco ‘The Unreal McCoy’ rimanda ad un’espressione americana, ovvero ‘The Real McCoy’ che sta per ‘quello originale, quello autentico’: noi siamo per ‘Unreal’, facciamo il fake perché ci piace”.

Ho molto apprezzato il brano Motorhomes of America. La storia di questi due anziani che vendono tutto e scappano su un camper. Ho subito, ovviamente, pensato a Paolo Virzì, con cui spesso hai lavorato.

“Certo. È una specie di trasposizione musicale, un omaggio, del film ‘Ella & John’, che mi entrò dentro quando Paolo mi face leggere la sceneggiatura”.

Ricorre spesso Dio, nei testi di questo disco.

“Non si può parlare di America senza parlare di Dio. Alexis de Tocqueville stesso lo fa capire quando racconta un episodio nel quale lui, francese in visita oltreoceano, osservò qualcosa che lo lasciò perplesso. Durante un processo il giudice non sapeva come procedere quando un testimone, ateo, non volle giurare sulla Bibbia in quanto non significava nulla per lui: questo per dire che è impossibile per gli americani non avere un legame con Dio e con la religione che io definisco ‘americana’”.


Cambiamo argomento. Che ne pensi della scena pop italiana, dei nuovi cantautori?

“Ce ne sono tanti, in questo momento: Brunori mi piace molto, scrive molto bene. Calcutta ad esempio, mi dice meno. Altri parlano un linguaggio non mio, ma è anche normale sia così. Son giovani, parlano ai giovani”.

Cosa ti piacerebbe fare che ancora non hai fatto a livello artistico?

“Vorrei scrivere canzoni pop in italiano per altri, magari per Laura Pausini o Eros Ramazzotti. L’ho fatto raramente… forse perché qualcuno pensa che avrei scritto canzoni troppo difficili, ma non è così (ride)!”.


Hai comunque lavorato come autore in un Sanremo e se non erro avete anche provato coi Virginiana a partecipare.

“Verissimo, ho scritto per Antonella Ruggiero, mi pare nel 2014. Con i Virginiana rimanemmo in bilico fino in fondo col pezzo ‘Anni di Piombo’. Eravamo però una band difficilmente collocabile: non potevamo fare gli esordienti ma nemmeno i big. Di Sanremo comunque sono spettatore devoto: quest’anno c’è stata un’ottima vittoria di Mahmood, anche se mi è molto piaciuto il brano di Paola Turci”.


Per chiudere, regalami un libro.

“Se fiorentino, ti direi subito qualcosa di Francesco Recami, tuo concittadino”.