Lo scorso aprile abbiamo parlato del live-action targato Tim Burton di Dumbo che, nonostante la sua fedeltà di base, non ci aveva convinti appieno. Questo mese tocca ad uno dei classici Disney che, personalmente, preferisco: Aladdin. La paura di vedere un live-action “scadente” ha (purtroppo) sfiorato l’idea di molti, abituati a livelli abbastanza bassi di queste trasposizioni. Inoltre la visione del trailer ufficiale ha aumentato tale sentimento: vuoi la presenza di un genio (Will Smith) blu realizzato veramente male in computer grafica, vuoi il climax un po’ carnevalesco e finto… non ci aveva proprio entusiasmato! Eppure Aladdin sul big screen ci ha sorpreso e ci ha fatto ricredere sulle prime sensazioni negative fuoriuscite dal trailer.

Mentre guardiamo il film ci risulta tutto molto familiare, ma allo stesso tempo ci sorprendiamo nel trovarlo anche innovativo e moderno. La regia, affidata a Guy Ritchie, è molto lineare e semplice, funzionale alla storia che si vuole raccontare. Nonostante ciò l’impronta d’azione del regista, autore tra gli atri di Sherlock Holmes, emerge spesso, soprattutto nei piani sequenza degli spettacolari inseguimenti.  La sceneggiatura invece pecca molto. Il cercare di “ridare vita” ad alcuni dialoghi originari del cartone crea un effetto innaturale calato in un contesto molto più reale. Alcune frasi simbolo di Aladdin-cartone risultano infatti un po’ forzate ed inserite a tutti i costi per restare il più fedele possibile.

L’atmosfera che si respira nel film non è sicuramente uguale a quella che caratterizzava il cartone. La città (inventata) di Agrabah della Disney dava allo spettatore la sensazione di una città costruita con la sabbia, con il suo monocromatico marrone e le sue casupole uguali. Nella pellicola di Ritchie troviamo una città più colorata e a tratti occidentalizzata. All’interno di questa scenografia si muovono i meravigliosi costumi che spesso si animano a ritmo di musica. Il regista infatti sembra aver voluto inserire anche il carattere dei film bollywoodiani, con danze tipiche che sfociano nell’hip hop e la break dance.

La vera forza del film sono ovviamente i personaggi.

Ad interpretare Aladdin troviamo esattamente Aladdin. La somiglianza fisica è davvero impressionante, tanto che gli addetti al trucco e parrucco, hanno pensato di renderlo uguale persino nella capigliatura. Nel film, però, questa risulta inevitabilmente molto cartoonesca e finta. L’aspetto caratteriale non è stato toccato, vediamo infatti lo stesso ladretto furbo e un po’ goffo, che cerca di conquistare la principessa e la possibilità di una vita migliore mantenendo comunque i suoi principi.

Sebbene invece Jasmines ia forse più bella della versione del cartone, il regista ha deciso di darle più spessore, creando in lei il desiderio di diventare sultano e guidare il proprio popolo, anziché essere relegata unicamente al ruolo di moglie. È stata infatti introdotta la tematica del femminismo, che si fa forte e potente nella canzone che canta Jasmine sul far sentire la propria voce a tutti i costi.

Ora arriviamo al personaggio che più di tutti stavamo aspettando: il Genio. Nulla a che vedere con il Genio del cartone. Will Smith crea la sua versione, differente da quella “interpretata” da Robin Williams. Un genio moderno che è basato maggiormente sulla già esuberante personalità di Will Smith, che si discosta dall’originale, ma in maniera positiva.

Nonostante aggiunte di personaggi e di eventi narrativi, cambiamenti di trama (e parole di canzoni), Aladdin ha superato la prova e si posiziona al momento come uno dei migliori live-action in circolazione.