di Leonardo Cianfanelli

L’abbiamo adorata in tutte le sue metamorfosi (Blue Willa, Solki, Calibro 35, Mariposa, La Band del Brasiliano), fino ad invitarla nel 2019 nella nostra rassegna Is That Folk?, in una bellissima serata di agosto a San Salvi che sembra lontana anni luce; ora Serena Altavilla diventa farfalla e ci presenta il suo primo disco solista “MORSA”, in uscita il 9 aprile per Blackcandy Produzioni.

Dopo tanta militanza in gruppi fichissimi arriva l’opera prima a tuo nome. Quanto è stato difficile questo parto?

È stato naturale a un certo punto del mio percorso desiderare di esprimermi con l’italiano.

Ero curiosa, cercavo uno sgabello per guardare più in là dove non avevo mai posato l’attenzione, qualcosa che mi stimolasse visioni e sensazioni nuove, tra cui una sorta di pizzicore, di imbarazzo, di desiderio.

Volevo riempirmi la bocca con le parole della mia memoria. Volevo masticare quel senso di disagio e volevo farlo con le mie melodie. Per i testi ho chiesto aiuto a Patrizio Gioffredi regista del collettivo John Snellimberg. Con lui abbiamo parlato delle immagini che vedevo o delle parole che sentivo, è entrato immediatamente in risonanza con le canzoni e in breve tempo ha buttato giù i testi. Finiti i testi volevo affidarmi a un produttore e creare un dialogo stretto e intimo su queste 10 canzoni che erano solo piano e voce, volevo spendere tanto tempo in studio, volevo fare le cose in una modalità nuova per me e in luoghi nuovi. A quel punto era marzo 2019 e Enrico Gabrielli, a cui avevo mandato i provini, un giorno mi ha presentato Marco Giudici, da lì è iniziato uno dei periodi più belli e metamorfici della mia vita.

A partire dal produttore Marco Giudici, è incredibile la lista di artisti che hanno collaborato alla realizzazione di “MORSA”. Ci vuoi fare qualche nome e raccontare com’è stato lavorare con loro?

I nomi te li faccio tutti! Adele Altro, Francesca Baccolini, Alessandro Cau, Luca Cavina, Enrico Gabrielli, Marco Giudici, Matteo Lenzi, Jacopo Lietti, Fabio Rondanini e Valeria Sturba: queste sono le persone incredibili che hanno abbracciato il progetto, che hanno voluto bene alle canzoni. Molti di loro li conoscevo per le mie esperienze passate ,con qualcuno avevo cantato, con altri avevo sempre desiderato farlo, qualcuno invece è stato una meravigliosa scoperta.

Sono stata fortunata a poter lavorare con ciascuna di queste persone, assistere alle loro manifestazioni musicali e umane è stato bellissimo. E’ stato un anno di momenti molto belli e intimi.

Nel disco ci sono molteplici sfaccettature, anche diverse da quello che siamo abituati a sentirti fare. Quali sono state le tue maggiori fonti di ispirazioni nel concepirlo?

Penso che la maggior influenza sia stata una sensazione, un desiderio, un grido, un morso appunto. A me e a Marco Giudici  piaceva l’idea di tessere in un unico paesaggio in movimento, strumenti molto diversi fra loro, contemporanei e antichi, mescolando le acque e le percezioni. I musicisti sono venuti in studio singolarmente oppure chi voleva mandava il lavoro svolto a distanza; Marco si è messo alla guida di questo sottomarino e ha creato un mondo e un percorso bellissimo, in cui brani si svelavano via via nel tempo.

foto: Silvia Bavetta

Nonostante l’incredibile talento e la lunga schiera di fan che hai sempre avuto, ti abbiamo spesso vista lontana dai riflettori mediatici, tendenza che in qualche modo ci sembra tu stia abbandonando ed esorcizzando adesso. Ci sbagliamo?

Abbandonare non credo, esorcizzare forse un po’ sì . Ad ogni modo tutta la comunicazione e la promozione passa da lì. Ho un disco che adoro e che spero si propaghi il più possibile. In più mi piace farmi fotografare e anche molto, questo non è certo un segreto.