di Michele Baldini e Virginia Landi

Cancel Culture vs Woke

“Free speech is the bedrock of a functioning democracy and Twitter is the digital town square where matters vital to the future of humanity are debated”, ha twittato Musk a proposito della sua recente acquisizione del social più updatabile della storia. Vedremo. Osserveremo lo scontro tra Guelfi e Ghibellini contemporanei: i fan del politicamente corretto e seguaci della “Cancel Culture” e i complottisti “Woke”. E noi da che parte stiamo? “Vogliamo la pace o il condizionatore acceso?

Woke, /wəʊk/ (Ingl. Mod., letteralmente “sveglio”), è un aggettivo americano con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli” nei confronti di presunte ingiustizie sociali o razziali. Il sostantivo wokeness significherebbe “non abbassare la guardia”, sempre in riferimento a quanto sopra. Dal No Vax al Pro-Putin il passo è breve e la platea si estende a tutto quanto sia gomblottabile, vittimismizzabile o boomerabile. SVEGLIAAAA!1!!

Cancel Culture /ˈkans(ə)lˈkəl-chər/ loc. s. le f. dall’inglese: cultura della cancellazione, significato non traducibile letteralmente. “Ci impongono il pensiero unico!”. “La verità è compromessa!”. “Non si può più dire niente!”. “Colpa della cancel culture“. L’espressione, eletta parola dell’anno nel 2019 dal dizionario australiano Macquarie, si riferisce all’atteggiamento di esclusione e colpevolizzazione, di solito espresso tramite i social media, nei confronti di personaggi pubblici o aziende che avrebbero detto o fatto qualche cosa di offensivo o politicamente scorretto e ai quali vengono tolti sostegno e gradimento. È anche per questo che abbiamo tutti “un amico” che ogni sera controlla la sezione “Ricordi” su Facebook, così da poter eliminare ogni traccia incriminante del suo passato.